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lunedì 5 ottobre 2015

RELAZIONE DI MICROPALEONTOLOGIA - ATTIVITA' DI LABORATORIO



Dopo tanto tempo ecco che pubblico di nuovo. Questa volta si tratta di una relazione riguardante l'attività di laboratorio che ho seguito durante il corso di Micropaleontologia. 

Eccola qui: 

INTRODUZIONE

   La Micropaleontologia è una branca della Paleontologia che ha per oggetto lo studio dei microfossili di natura animale e/o vegetale presenti nei terreni sedimentari, osservati al microscopio secondo tecniche particolari. Il vantaggio principale del porre in analisi questo tipo di fossili è la loro reperibilità.
La frequenza nei sedimenti e le dimensioni sono di gran valore pratico in geologia applicata, nella paleoecologia, per la datazione dei sedimenti, per le correlazioni stratigrafiche, per la riproduzione di ambienti marini nonché nelle ricerche petrolifere.
L’approccio a questa disciplina avviene tramite quattro passaggi fondamentali, quali: raccolta di materiale, trattamento e preparazione dello stesso, tipo di osservazione dello stesso e il suo studio finale.

METODI E STRUMENTI UTILIZZATI - ATIVITA’ DI LABORATORIO

     I metodi e gli strumenti utilizzati durante l’attività di laboratorio sono stati i seguenti:
  1. Lavato: metodo indicato per rocce non compatte dove non è possibile sfruttare gli altri metodi di “dry-peels” o sezioni sottili. Per separare dalla matrice i microfossili si utilizza il “Desogen”, un tensioattivo (in alternativa l’acqua ossigenata). Il sedimento sciolto viene in esso immerso e fatto “friggere” per il tempo necessario ad eliminare il più possibile la matrice. Successivamente il sedimento viene lavato in un setaccio, filtrato, asciugato e posto in un contenitore;
  1. Sezione sottile: metodo indicato per rocce compatte. Si tagliano con una sega diamantata dei parallepipedini di roccia ben lisciati nel verso che si vuole osservare al microscopio. Questo viene incollato ad un vetrino tramite un collante e con una mola il campione viene appiattito fin tanto che raggiunge uno spessore di ca. 30/40 micron. Infine lo si copre con un vetrino sottile per conservarlo meglio;
  1. Microscopio ottico: oltre al SEM (Transmission Electron Microscope) e al TEM (Scanning Electron Microscope), entrambi microscopi elettronici, esiste quello ottico, il più semplice di tutti. In generale esso è costituito da due sistemi di lenti inserite in un tubo: la lente dove si appoggia l’occhio, oculare, e la lente posta vicino al campione da osservare, l’obiettivo. In genere i microscopi hanno almeno tre obiettivi, con diverso potere di ingrandimento, posti sulla torretta portaobiettivi girevole. L’oggetto da osservare viene quindi posto davanti all’obiettivo il quale fornisce un’immagine reale, capovolta e ingrandita. Questa immagine viene fatta cadere davanti alla lente oculare a distanza opportuna che ne dà un’altra, virtuale, ingrandita e orientata nello stesso verso.
FORAMINIFERI ANALIZZATI - ATTIVITA’ DI LABORATORIO

       Il lavato è stato prelevato nell’area di Lugagnano (VR) e risale al Pliocene superiore – Pleistocene inferiore. Esso, nonostante sia caratterizzato da una ricca varietà di microfauna, è stato utilizzato per analizzare esclusivamente i foraminiferi, organismi maggiormente presenti al suo interno.
Si è quindi cercato di risalire al tipo di paleoambiente di sedimentazione tenendo conto del rapporto Plancton/Benthos.
Per il riconoscimento si è partiti da tre principali parametri:
  1. Tipi di parete:
    1. Agglutinante: formata dall’aggregazione di particelle solide selezionate direttamente dall’organismo in base alla forma, dimensione e natura delle stesse. Queste vengono cementate da un cemento di natura tectinica, nel caso di organismi primitivi, calcarea nel resto dei casi e in rare occasioni di natura silicea;
    1. Porcellanacea: generalmente bianca, scura in sezione sottile, imperforata. È costituita da tre strati sovrapposti costituiti da calcite cristallina: quello mediano è il più spesso e presenta cristalli disposti in modo irregolare; quello esterno, più sottile, è costituito da romboedri di calcite appiattita, disposti parallelamente alla superficie del guscio; quello interno, sottile, è costituito da cristalli disposti in modo irregolare rispetto a quello esterno, ma non irregolari come nello strato mediano;
    1. Ialina: ha un aspetto trasparente e vitreo, perforata per la presenza di una moltitudine di pori che attraversano la parete, permettendo gli scambi gassosi tra la cellula e l’ambiente;
  1. Tipo di avvolgimento:
    1. Uniseriale: camere disposte in un’unica serie ad andamento rettilineo o curvilineo;
    2. Biseriale: formato da due serie parallele di camere uniseriali sempre ad andamento rettilineo o curvilineo;
    3. Multiseriale: formato da tre o più serie di camere tra loro variamente unite o compenetrate;
    4. Planispirale: camere disposte lungo una spirale piana, involuta se ogni giro di spira ricopre il giro precedente o evoluta se i giri della spira sono totalmente o parzialmente visibili;
    5. Trocospirale: le camere si susseguono lungo una spirale elicoidale e risultano evolute su un lato del guscio (lato spirale) e involute sul lato opposto (lato ombelicale);
    6. Fusiforme: variazione del tipo planispirale in cui il guscio aumenta velocemente lungo l’asse di avvolgimento che in altezza.
  1. Tipo di apertura: singola/multipla, circolare/semicircolare, a fessura, arcuata, dendidrica, stellata, con dente, ecc…

Si elencano qui di seguito gli organismi rivelati da noi studenti durante l’analisi in laboratorio tramite microscopio ottico. 

MICROFORAMINIFERI A GUSCIO AGGLUTINANTE:
  1. Bigenerina (Eocene – recente): disposizione mista da biseriale a uniseriale, apertura apicale, epifaunale; 
  2. Textularia (Eocene – recente): biseriale, forma sub-triangolare, apertura apicale ad arco basso, epifaunale; 
  3. Dorothia (Cretaceo – recente): disposizione mista da trocospirale a triseriale a biseriale, apertura apicale, agglutinati fini calcarei, epifaunale. 
MICROFORAMINIFERI A GUSCIO PORCELLANACEO:
  1. Quinqueloculina (Cretaceo – recente): avvolgimento a quinqueloculina, cinque camere per giro aggiunte su piani disposti a 144°, sono visibili quattro camere davanti e tre dietro, dente bifido; 
  2. Triloculina (Cretaceo – recente): avvolgimento a triloculina, tre camere per giro aggiunte su piani disposti a 120°, sono visibili tre camere davanti e due dietro, dente bifido; 
  3. Spiroloculina (Cretaceo superiore – recente): avvolta a spirale piana con camere disposte a 180°, dente bifido; 
  4. Adelosina: stadio iniziale a quinqueloculina con prima camera leggermente più allungata e curva e seconda camera molto più grande, termina con un collo apertura apicale; 
MICROFORAMINIFERI A GUSCIO IALINO:
  1. Ammonia (Miocene – recente): avvolgimento a trocospirale, pilastri che riempiono tutta la parte ombelicale, sistema di canali; 
  2. Reussella (Eocene – recente): triseriale, guscio piramidale triangolare in sezione; 
  3. Uvigerina (Eocene – recente): triseriale con apertura sul collo, labbro fialino e dente semicilindrico; 
  4. Planorbulina (Eocene – recente): forma fissa, partenza ad avvolgimento planispirale e successivamente le camere globose si aggiungono in modo irregolare con due aperture da dove si generano due camere; 
  5. Elphidium (Eocene – recente): avvolgimento planispirale involuto, molte camere, suture depresse, canal system, aperture miste; 
  6. Cassidulina (Eocene – recente): biseriale compressa, avvolta a planispirale involuta, apertura a fessura; 
  7. Lagena (Giurassico – recente): uniloculare, non lamellare, apertura sul collo; 
  8. Asterigerinata (Oligogene – recente): avvolgimento a trocospirale con lato spirale convesso e lato ombelicale concavo, camera a semiluna; 
  9. Nonion (Cretaceo superiore – recente): avvolgimento planispirale involuta con apertura ad arco basso; 
  10. Cibicides (Paleocene – recente): avvolgimento trocospirale con lato spirale piatto, apertura che si estende dal lato ombelicale a quello spirale; 
  11. Globigerina (Eocene – recente): avvolgimento trocospirale, apertura ombelicale molto ampia, parete spinosa, suture molto depresse, camere molto globose; 
  12. Bulimina (Paleocene – recente): triseriale con apertura a cappio verso l’interno; 
  13. Bolivina (Cretaceo – recente): biseriale con apertura a cappio, con dente;
Distinzione microforaminiferi bentonici e planctonici:
BENTONICI
PLANCTONICI
Bigenerina
Textularia
Dorothia

Quinqueloculina
Triloculina
Spiroloculina
Adelosina

Ammonia
Uvigerina
Planorbulina
Elphidium
Reussella
Lagena
Cassidulina
Asterigerinata
Nonion
Cibicides
Bulimina
Bolivina

Globigerina
Tabella 1: in blu i foraminiferi a guscio agglutinante, in verde quelli a guscio porcellanaceo e in rosso quelli a guscio ialino
  1. CONCLUSIONI
Si evince che la maggior parte dei microforaminiferi analizzati siano bentonici anziché planctonici. I microforaminiferi più presenti all’interno del lavato sono risultati la Textularia, la Quinqueloculina, l’Ammonia, la Planorbulina, l’Asterigenata, l’Elphidium e la Globigerina. Questo dato associato a quello del rapporto plancton/benthos, che risulta essere attorno a 0,3%, porta ad affermare che questi organismi vivevano in acque basse, temperate e che il paleoambiente a loro appartenente era quello di piattaforma interna.

Figura 1: Associazioni batimetriche e rapporto plancton/benthos

All’interno del lavato si sono riscontrati anche altri organismi marini come ad esempio i radiolari, spicole di spugna e frammenti di echinodermi.

BIBLIOGRAFIA

  • John W. Murray, Ecology and Paleoecology of benthic foraminifera, Routledge, 1991. 



giovedì 11 luglio 2013

IP GLOGE 2013 - RADIOATTIVITA'


 Fonte: https://moodle.usal.es/course/view.php?id=9764 (11.07.2013 ore 18.34) 

Dopo un po’ di tempo riprendo a scrivere sul mio blog. Questa volta per raccontarvi della mia esperienza che sto vivendo proprio ora (7-20 luglio 2013) a Salamanca (Spagna). Ho preso infatti parte ad un progetto chiamato “IP GLOGE 2013”, un Corso Erasmus Intensivo organizzato dalle università di Ferrara, Coimbra (Portogallo), Budapest (Hungary) e Salamanca. Al corso, svolto in lingua inglese, hanno preso parte in tutto 4 italiani, 6 ungheresi, 5 portoghesi e 3 spagnoli con altrettanti professori .

 L’obiettivo del progetto “Global Heritage and Sustainability: Geological, Cultural and Historical” è, oltre che lo scambio interculturale di conoscenze tra i vari partecipanti, quello di studiare le rocce dal punto di vista culturale e storico oltre che da quello strettamente geologico, al quale noi geologi siamo abituati a fare . Gli argomenti trattati sono molteplici e li scopriremo piano piano. Inizio però già nel pubblicare la mia prima relazione riguardante la radioattività dove abbiamo potuto osservare le diverse emissioni di radiazioni che le rocce emettono (ignee, sedimentarie e metamorfiche). 


Group report
-
Natural radioactivity in different natural
stones

Theoretical Introduction

All natural rocks contain minerals that have radioactive elements in their constitution, even
if they are only present in insignificant amounts. Three important elements to the study of
radioactivity are Potassium (K), Thorium (Th) and Uranium (U), but only the isotopes 40K, 232Th,
238U/235U are radioactive, which means, they release radiation - α, β and γ radiation. We usually
measure this radiation in Becquerel (Bq), which is a measure of the physical/real amount of
radiation. We can also use Sievert (Sv), which measures the biological effect of radiation.
When working in the field of radioactivity one should never forget the importance of radon –
a noble gas that is involved in the decaying of 238U and is harmful for the environment in high
doses.

Purpose of the experiment
  • Learn the techniques/methods used to measure radioactivity, as well as, learning which apparatuses/equipment are better suited for this kind of work.
  • Measure the natural radioactivity (in counts/minute*) of 38 different kinds of rocks – (igneous, metamorphic and sedimentary rocks).
  • Compare the data acquired (on a table) on the experiment, in terms of radioactivity, with the three different groups of rocks.
  • Brief explanation, at the end of the main experience described above, of how to measure the amount of the qualitative radon being released from rocks (granites).

This is done specific equipment that we will talk about later on the Procedure.

Procedure

Using the equipment shown on the picture below (Figure 1), a Geiger-Muller counter, we
measured the amount of radiation (α, β and γ radiation) associated to the 38 rocks of the
experiment.

Figure 1 - Geiger-Muller counter 

On the second part of the class, we simulated a routine experiment for measuring the
amount of radon in rocks. Radon has a half-life of 21 days. We put the rock into a special and
sealed container (Figure 2) connected to an alpha pump and alpha guard professional radon
monitor. After those 21 days we would be able to measure directly the amount of radon 222Rn in
the air, because it is equal to the quantity of 226Ra in the rock – isotropic equilibrium.

Figure 2 – sealed container connected to an alpha pump and alpha guard professional radon monitor

Results

The results of this experiment are displayed through a graphical way, on the table below
(Table 1). Together with the results, there are some representative photographs of certain rocks.
Table 1 – Measurements of rock’s radioactivity

We took a photograph of four rocks, from the different rock groups (Figure 3)

Figures 3 – Different types of rock, in order: Igneous, metamorphic, sedimentary (limestone) and
sedimentary (carbonate) 

Discussion of the results 


Graph 1 – Graphical representation of the measurements of rock’s radioactivity

The natural radioactivity of several different rocks was examined. The radioactivity was
measured with Geiger-Muller counter. According to the measurement the igneous, metamorphic
and sedimentary rock have different radioactive emission. It is in great agreement with the
presumptions. The values of radioactivity measured were higher to the igneous rocks (150 Bq –
the highest), and lower to the sedimentary rocks, particularly in the limestones (30 Bq – the
lowest); the metamorphic rocks showed high levels but still lower than the igneous (Graph 1).
Graph 1 – Graphical representation of the measurements of rock’s radioactivity.
The background radiation (including natural and industrial) affects the human health, so the
radiation of the residential building needs to be controlled. The radioactivity might be higher if the
surrounding rock is mainly igneous, so we need that the buildings are constructed in a way that
considers Radon emission of the surrounding ground. Furthermore, the building materials itself
have a radiation.
This thought leads us to the significance of the radioactive emission of the stones: in certain
areas the radioactivity of the ground or the building materials is an important aspects of design.


lunedì 25 aprile 2011

La diagenesi

Premessa: concludo questo lungo escursus sulle rocce sedimentarie e quindi sulle arenarie con questo ultimo articolo "La diagenesi" ribadendo e sottolineando, anche per chi volesse approfondire l'argomento, che tutte queste informazioni nonchè i miei articoli "Granulometria dei sedimenti terrigeni", "Metodi di analisi granulometrica", "Rappresetazione grafica dell'analisi granulometrica", "Distribuzioni dimensionali", "Forma e rotondità dei clasti", "Fabric e Packing, Porosità e Permeabilità", "Ghiaie e conglomerati", "Arenarie", "Arenarie: classificazione di Folk e e Pettijohn", "Arenarie: classificazione di Dickinson", "Arenarie: classificazione di Zuffa e Valloni&Mezzadri", "I minerali pesanti", "I sedimenti fangosi" e "La diagenesi", sono stati scritti basandosi su appunti delle lezioni e principalmente sul libro del prof. Emilio Saccani (docente universitario presso l'Università degli Studi di Ferrara), dal titolo "Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene" Anno 2010, dove sono spiegati sicuramente molto meglio e in maniera molto più approfondita.  


La diagenesi avviene subito dopo la deposizione del sedimento fino a grandi profondità (15 Km). Le temperature e pressioni variano da quelle tipiche dell'alterazione fino a quelle del metamorfismo: rispettivamente fino a 200-250°C e 0,5 Gpa (dipende dalla profondità che la roccia ha raggiunto e dal come l'ha raggiunta).

Esistono 3 stadi:
  1. eogenesi → superficiale;
  2. mesogenesi → avviene dopo un effettivo seppellimento della roccia;
  3. telogenesi → avviene a bassi livelli di seppellimenti in seguito al sollevamento ed erosione delle rocce.

          EOGENESI

Avviene fino a 10 Km, stesse condizioni dell'ambiente deposizionale.

Si ha:
  • interazione tra grani detritici e acqua nei pori del sedimenti;
  • influenza dell'attività di organismi (bioturbazioni);
  • leggera compattazione.
Il primo punto risulta in una precoce cementazione dei grani (debole litificazione). Le bioturbazioni invece possono portare alla distribuzione delle strutture primarie del sedimento e ad un mescolamento della granulometria originale oltre che ad una modificazione dell'originaria porosità e permeabilità del sedimento.
Questo stadio avviene sia in mare che sul continente e le condizioni possono variare da ossidanti a riducenti.

          MESOGENESI

Caratterizzato da più temperatura e pressione che favoriscono le reazioni chimiche. Le condizioni chimiche (PH e EH) delle acque circolanti sono molto diverse dall'ambiente di deposizione provocando un trasporto in soluzione di molti elementi. La pressione produce compattazione e solubilità dei minerali.

Processi:
  • 50-200°C la smecitite diventa illite rilasciando acqua, silice, sodio, calcio, magnesio e ferro;
  • aumento della salinità delle acque dei pori delle arenarie per effetto di un filtro molecolare di sedimenti più fini;
  • trasformazione materia organica →
    • 80-120°C, si producono acidi organici;
    • 120-200°C, si forma l'anidride carbonica, ne consegue che la provenienza di materia organica può causare sovra-saturazione in CO2 nei sedimenti associati con conseguenze nella solubilità dei carbonati (dissoluzione cemento carbonatico con aumento della porosità);
    • compattazione, cementazione, de-cementazione, produzione di matrice fine, sostituzione mineralogica delle fasi originarie, produzione di minerali autigeni.
          TELOGENESI

Avviene dopo il sollevamento della roccia ed è caratterizzata da acque meteoriche ossidanti. I minerali formati nel processo di prima possono essere distrutti alle temperature e pressioni di questo processo.

Processi:
  • dissoluzione cemento per opera delle acque meteoriche;
  • trasformazioni in minerali argillosi dei grani costituenti l'ossatura;
  • trasformazione da carbonati a ossidi;
  • trasformazione da solfuri a solfati.

Alcune definizioni: 

Cementazione: se i vuoti sono riempiti tutti il cemento sarà 1/3 o ¼ della roccia totale. Essa è l'ultimo passo della formazione di un'arenaria e influisce sulla porosità e permeabilità; produce una roccia compatta in grado di trasmettere fluidi (acqua, petrolio o gas naturali).

Materiali cementati:
  • silice →
    • sotto forma di Q (depositato come sovra-crescita in continuità ottica sul Q detritico);
    • sotto forma di opale o calcedonio → correlati alla temperatura e agli ioni;
  • minerali carbonatici (calcite);
  • dolomite → più rara;
  • ossidi di ferro, solfuri di ferro;
  • silicati → F, caolinite e zeoliti.
Dissoluzione cemento: quando un'arenaria viene attraversata da fluidi sia i materiali costituenti il cemento che quelli costituenti i grani dell'ossatura potrebbero essere dissolti in base alle condizioni chimico-fisiche del sistema (de-cementazione). I vuoti causati prendono il nome di porosità secondaria. C'è dissoluzione interna diffusa in molti calcari, qui il processo può essere invertito ed i vuoti riempiti successivamente da materiali precipitati.

Soluzione intrastratale: dissoluzioni all'interno degli strati. Molto importanti sono le linee di giunzione stilo-litiche. Le stilo-liti sono presenti nei calcari ma anche nelle arenarie e quarziti. La stilo-lite è una superficie marcata con spessore da pochi mm ad alcuni cm dove la sua superficie è marcata da un deposito sottile di materiale insolubile. Nelle arenarie è carboniosa e nelle quarziti le linee di giunzione sono marcate da ossidi di ferro.

Matrice: alcune arenarie come le Grovacche hanno una matrice sistosa e argillosa di origine diagenetica (distruzione delle particelle detritiche instabili). Questo processo è molto efficace in sabbie con frammenti vulcanici.
Le arenarie più antiche con più seppellimenti hanno più matrice delle sabbie più recenti (origine diagenetica e non deposizionale).

Deformazione e fratturazione dei grani: le arenarie si compattano in modo diverso dalle argilliti anche se si possono osservare evidenze di riadattamento fisico e alla pressione. In alcune arenarie i grani di Q mostrano delle fratture che attraversano grani singoli. Due o più fratture si irradiano dal punto di contatto fra i grani adiacenti ed in alcuni casi una parte di frattura può ruotare rispetto al grano di origine.

Sostituzioni mineralogiche: comportano la dissoluzione di un minerale con contemporanea precipitazione di un altro al suo posto. Questo processo avviene attraverso una sottile pellicola di interscambio vecchio-nuovo minerale ed è quindi sufficiente una sovra-saturazione della nuova fase in uno spazio piccolissimo. Le sostituzioni avvengono senza variazione del volume e le tessiture del vecchio minerale rimangono.

Esempio:
  • carbonati ↔ selce;
  • F e Q ↔ carbonati;
  • matrice argillosa ↔ carbonati;
  • plagioclasio e K ↔ albite;
  • Lv e/o plagioclasio ↔ zeoliti.
Composizione modale: può variare dopo la deposizione dell'arenaria attraverso i processi di →

  • perdita per dissoluzione di grani costituenti l'ossatura;
  • alterazione dei grani per sostituzione e ricristallizzazione;
  • fenomeni di distruzione dei grani per schiacciamento.

La composizione della roccia viene influenzata dai processi diagenetici:
  1. Dissoluzione: anche il Q è soggetto ad una dissoluzione che può essere parziale o totale; dopo la dissoluzione può esserci ricristallizzazione di un altro minerale al posto del precedente (Q ↔ calcite o pirite); alcuni tipi di dissoluzione sono influenzate dalle temperature come il K che ad alte temperature viene sostituito da calcinte o albite; in alcuni casi la dissoluzione può colpire un componente in una certa forma e non in un'altra;
  2. Sostituzione → molto frequente durante la diagenesi; un esempio è la sostituzione dei clasti carbonatici con cemento carbonatico, questo produce una sovrastima della porosità della roccia se non è possibile riconoscere l'originaria presenza di un clasto dove attualmente si trova il cemento; questo processo può inoltre produrre un aumento o una diminuzione di volume della roccia a seconda dei casi.
  3. Deformazione → può produrre la distruzione di alcuni componenti dopo lo schiacciamento dovuto al carico lito-statico; ci sono 2 tipi di deformazione:
    1. leggera: è possibile riconoscere la natura del clasto originario;
    2. pesante: non è possibile riconoscere la natura del clasto originario.
  4. Ossidazione → fenomeno poco frequente e colpisce i frammenti di roccia vulcanica e i minerali ricchi in Fe e titanio.

Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010    

domenica 24 aprile 2011

I sedimenti fangosi


Si classificano in base alla tessitura e struttura:
  • colore;
  • materia organica;
  • costituenti chimici.
Metodi d'analisi: l'analisi dimensionale avviene tramite microscopio SEM o a RAGGI-X. Nel primo caso avvengono analisi qualitative e nel secondo si utilizzano i metodi delle polveri o il microscopio elettronico munito di spettrometro a dispersione di energia EDS.

Analisi semi-quantitative:
  • analisi termo-differenziale che si basa sulla proprietà dei minerali argillosi di rilasciare acqua di cristallizzazione a temperature definite per ogni specie mineralogica;
  • determinare la composizione chimica e applicare calcoli normativi per la determinazione del contenuto mineralogico.
Metodi costosi: analisi chimiche sul singolo minerale.
Altri metodi: analisi chimica dell'intera roccia tramite la spettrometria di fluorescenza a RAGGI-X XRF; questa è in grado di determinare gli elementi maggiori e più comuni in traccia.


          CARATTERISTICHE ROCCE FANGOSE
  • dimensioni particelle: esiste un controllo della composizione sulle dimensioni al contrario delle arenarie; questo perché i minerali argillosi hanno una diversa struttura mineralogica; esiste una differenza dimensionale tra le principali specie argillose (CAOLINITE = lamine lunghe molti micron, ILLITE = lamine lunghe 0,1-0,3 micron, MONTMORILLONITE = lamine troppo piccole da studiare al microscopio elettronico);
  • forma e rotondità: le particelle < 62 micron non sono influenzate dal trasporto eolico o con acqua ma dalla forma originaria dei grani detritici o di quelli formati durante la diagenesi (rotondità bassa e forma piatta, lamellare o aciculare);
  • fabric e packing: la disposizione dei minerali argillosi lamellari è la causa della fissilità delle rocce fangose; la fissilità è la capacità della roccia di rompersi in lamine parallele di spessore di 0,5-1 mm ed è inversamente proporzionale al contenuti di argilla (più argilla = lamine più fini, più sabbia e silt e meno argilla = lamine più spesse);
Il chimismo dell'ambiente di sedimentazione che condiziona la flocculazione dei minerali argillosi   condiziona la fissilità:
  • più sostanza organica → le particelle argillose si depongono come singoli grani;
  • meno sostanza organica → si depongono a flocculi e come se fossero particelle sensibilmente più grandi.
La litificazione delle rocce fangose aumenta la fissilità dato che produce l'allineamento delle particelle fini; questo è dovuto all'effetto della compattazione del sedimento o della roccia a causa del carico litostatico.

Il tipo di minerali argillosi prodotti durante l'alterazione delle rocce madri dipende essenzialmente da 3 fattori:
  1. composizione delle rocce madri → questa governa il tipo di materiale chimico e la sua quantità;
  2. composizione delle acque circostanti → il carico di ioni dissolti nelle acque governa direttamente il tipo di reazione; la reazione dell'acqua dipende dalla temperatura, dalla presenza di vegetazione e di carbonati;
  3. velocità di flusso delle acque attraverso le rocce → più veloce è il flusso e più alto è il dilavamento ovvero lo scambio ionico; per bassi flussi o acque stagnanti la capacità di scambio sarà solo quella permessa nei limiti della quantità di ioni presenti in un volume definito di acqua; 

  • composizione mineralogica: minerali argillosi, Q, F e miche sono abbondanti;
  • composizione chimica:
    • silicio → molto abbondante e si trova nei silicati e nel Q;
    • alluminio → F più minerali argillosi (caolinite);
    • potassio e magnesio → influenzati dalla presenza di minerali argillosi;
    • ferro → 5-10%, influenzato dalla presenza di ossidi e idrossidi di Fe, minerali argillosi e carbonati;
    • calcio → 1-10%, deriva dai plagioclasi calcici e da carbonati;
    • fosforo → < 0,2%.

Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010   

I minerali pesanti


I minerali pesanti hanno peso specifico tra 3 e 5 e per questo motivo sono trasportati e depositati con granuli di Q che hanno dimensioni da 0,5 Fi a 1 Fi più grandi (rapporto idraulico).
Le dimensioni di un minerale che si sedimenta assieme ad un altro di altra dimensione nelle stesse condizioni si dice dimensione idraulica equivalente.

I minerali pesanti sono degli attivi indicatori delle litologie dell'area madre. Per essere studiati devono essere separati da tutto il resto e questo avviene per:
  • separazione magnetica → con separatore magnetico FRANZ;
  • tavole a scosse o ad acqua → sfruttano il diverso rapporto idraulico dei minerali pesanti; in una tavoletta inclinata sottoposta a vibrazione o a flusso d'acqua i minerali più densi si fermano prima venendo incanalati in solchi e raccolti in appositi contenitori;
  • liquidi pesanti → per tenere conto del rapporto idraulico la separazione dei minerali pesanti avviene sulla frazione granulometrica 50-350 micron invece che 125-500 micron come per i minerali leggeri.
Spieghiamo meglio questo ultimo metodo di separazione: i liquidi pesanti sono a densità nota e diluendolo con acqua si può raggiungere una densità voluta. Se si vogliono separare i minerali pesanti basta raggiungere quindi la densità di 2,86.

Metodo:
  • il liquido pesante va messo in un imbuto A;
  • si versa nel liquido pesante una certa quantità di sedimenti;
  • inizia così la separazione → i minerali leggeri restano in superficie mentre quelli pesanti vanno verso il fondo dove è situato un rubinetto;
  • si apre il rubinetto per far scendere i minerali pesanti dove andranno in una bottiglia apposita dotata di filtro, si chiude il rubinetto;
  • si mette un'altra bottiglia per raccogliere i minerali leggeri, sempre tramite filtro e apertura del rubinetto;
  • su un altro imbuto viene messo il filtro con i minerali pesanti e lo si lava con un solvente;
  • stessa cosa avviene per l'altro filtro con i minerali leggeri;
  • la seconda bottiglia di raccolta del liquido pesante serve per essere riutilizzato una volta distillato (costa tanto il liquido pesante).
I minerali pesanti vengono studiati al microscopio attraverso un vetrino provvisorio o stabile. Nel primo caso i minerali pesanti sono montati su vetrino inglobandoli in eugenolo, un liquido con indice di rifrazione pari a 1,54. Il vantaggio di questo metodo è che i tempi di esecuzione sono brevissimi e che si ha la possibilità di recuperare i minerali se mai dovesse essercene la necessità; lo svantaggio è che si perde il materiale alla fine dello studio.
Nel secondo caso invece i minerali pesanti sono inglobati con balsamo di Canada. Il vantaggio è che il tutto è permanente mentre lo svantaggio è che non si possono recuperare i minerali desiderati.

RAPPRESENTAZIONE

Si mettono in percentuale tutti i minerali pesanti e li si mette in grafici:
  • barre → rappresentazione delle percentuali sotto forma di barre di lunghezza proporzionale alle varie percentuali:
    • espressione delle percentuali sotto forma di barre proporzionali ma disposte in maniera tale che i rettangoli che rappresentano il minerale più comune siano allineati;
    • lunghezza delle barre proporzionale alle percentuali o dove la somma delle barre di lunghezza proporzionale chiude alla percentuale totale di 100.
  • diagrammi a torta → ottima rappresentazione visiva;
  • diagrammi rettangolari → se l'insieme dei minerali può essere rappresentata da 3 parametri o se 3 parametri vengono scelti per rappresentare un dettaglio;
  • diagrammi ad area → se si vogliono rappresentare le variazioni di quantità di minerali pesanti da un punto ad un altro (fiumi, spiaggia, sequenza stratigrafica).
Lo studio dei minerali pesanti però può assumere complessità molto elevate e per questo si adoperano metodi di analisi matematici e statistici:
  • analisi discriminante;
  • cluster analysis;
  • analisi vettoriale.
Tutti questi metodi tendono ad estrarre in maniera matematica ed oggettiva da un insieme di dati complessi un numero limitato di fattori che semplifica l'informazione.
Se ad esempio abbiamo un set di 100 campioni contenenti 30 specie di minerali pesanti si utilizzeranno questi metodi matematici e statistici:
  • cluster analysis → si evidenziano similitudini fra i diversi campioni sulla base di tute e 30 le specie;
  • analisi vettoriale → si estrae un numero limitato di fattori basati su tutte e 30 le specie e tramite questi fattori si identificano quei campioni caratterizzati dalle composizioni più estreme e si esprimono gli altri come se fossero variamente costituiti da miscele degli end-members.

UTILIZZI DEI MINERALI PESANTI

  • STRATIGRAFIA: al variare dei limiti stratigrafici variano pure i minerali pesanti; esistono 3 aspetti importanti →
    • la zonatura stratigrafica dei minerali pesanti è accompagnata da un progressivo aumento delle specie mineralogiche verso le sequenze stratigrafiche più recenti;
    • l'ordine di comparsa dei minerali in bacini lontani e non correlati fra loro è molto simile;
    • nelle sequenze più antiche sono presenti solo minerali stabili mentre nelle sequenze più recenti minerali instabili.
SPIEGAZIONE: 3 ipotesi →
  1. al procedere dell'erosione livelli più profondi vengono messi a nudo favorendo la sedimentazione; essendo i minerali della crosta più stabili di quelli profondi si spiega la zonatura in ordine di stabilità;
  2. si presuppone un legame fra le sequenze di minerali e un progressivo sollevamento dell'area-madre: se all'inizio non vi è sollevamento l'erosione sarà lenta e i processi di alterazione saranno forti per cui solo i minerali stabili arriveranno al bacino di sedimentazione; una accelerazione del sollevamento aumenterà invece i minerali instabili;
  3. tutti i minerali pesanti sono deposti insieme e in fase post-deposizionale i minerali più instabili vengono distrutti per effetto di soluzioni interstratali; 

  • TETTONICA: con le associazioniorogeniche; i minerali pesanti possono indicare in maniera indiretta la presenza di dorsali.
  • PALEOGEOGRAFIA: studiando la distribuzione dei minerali pesanti nei sedimenti antichi è possibile ricostruire la provenienza e il senso di trasporto del detrito sedimentario nel passato individuando così la struttura e morfologia degli antichi bacini e la loro evoluzione nel corso del tempo;
  • PROSPEZIONE GEOMINERARIA.

CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA STABILITA'
  • minerali ultra-stabili: zircone, tormalina, rutilo; stabili come il Q, sopravvivono a più cicli di sedimentazione, unici che si trovano in sabbie super-mature; un'abbondanza di questi minerali ultra-stabili indica un prolungato trasporto e alterazione chimica o una provenienza da sedimenti riciclati; è possibile risalire alla roccia-madre;
  • minerali metastabili:
    • olivina → molto instabile e rara nei sedimenti, poco trasporto e alterazione chimica;
    • pirosseni → molto instabili;
    • apatite, granito, epidoti, cianite, sillimanite, andalusite, staurolite e titanite → molto stabili.
    Tutti questi minerali metastabili possono trovarsi nei sedimenti in dipendenza del grado di efficacia dei fenomeni di alterazione e di trasporto.

Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010  

sabato 23 aprile 2011

Arenarie: classificazione di Zuffa e Valloni&Mezzadri


ZUFFA

Egli parte dal fatto che gli altri autori non tengono conto di molti componenti che potrebbero voler dire molto. Ad esempio i frammenti allochimici e la matrice per Folk oppure la matrice, i frammenti carbonatici, terrigeni e allochimici per Dickinson. Inoltre tutti si concentrano sulle areniti terrigene.
Il pregio di Zuffa è di tenere conto di un ampio spettro di tipi di grani. Egli divide i costituenti dell'ossatura di un'arenite in 4 categorie principali a seconda della provenienza:
  1. frammenti non carbonatici extrabacinali (NCE) → sono costituenti terrigeni e corrispondono a quelli considerati da tutti; derivano dallo smantellamento di terre emerse e hanno subito un trasporto;
  2. frammenti carbonatici extrabacinali (CE) → sono terrigeni e corrispondono alle calclittiti di Folk; derivano dallo smantellamento di terre emerse con aree madri dove erano presenti rocce carbonatiche e hanno subito un trasporto;
  3. frammenti carbonatici intrabacinali (CI) → corrispondono agli allochimici di Folk e danno luogo alle areniti carbonatiche non terrigene; non vengono classificate dagli altri autori; origine intrabacinale e quindi hanno subito poco trasporto;
  4. frammenti carbonatici intrabacinali (NCI) → glauconite, gesso, apatite, fosfati, minerali autigeni; non vengono considerati dagli altri autori; origine intrabacinale e quindi poco trasporto.
Sulla base di questo Zuffa costruisce un tetraedo classificativo identificando 5 tipi principali di areniti:
  1. extrareniti non carbonatiche (NCE) → compose da > 50% da componenti non carbonatici extrabacinali e corrispondono alle arenarie terrigene degli altri autori;
  2. extrareniti carbonatiche (CE) → composte da > 50% da componenti carbonatici extrabacinali terrigeni e corrispondono alle calclittiti di Folk;
  3. intrareniti carbonatiche (CI) → composte da > 50% da componenti allochimici (intraclasti, fossili, pellets) e corrispondono alle calcareniti di Folk;
  4. intrareniti non carbonatiche (NCI) → composte da > 50% di componenti non carbonatici intrabacinali per lo più da minerali autigeni; rare in natura (areniti glauconitiche e fosfatiche);
  5. areniti ibride (HA) → formate da varie proporzioni dei componenti fondamentali; occupano la porzione centrale del tetraedo.

VALLONI&MEZZADRI

Loro considerano i parametri composizionali di Dickinson più i frammenti carbonatici terrigeni nel polo L identificando così 4 tipi principali di composizioni:
  1. sabbie quarzo-feldspatiche (QF suite)Q e feldspati > Frammenti litici, sono quelle definite come Arkose e subarkose; pochi frammenti litici specialmente di tipo vulcanico, qualcosa in più per quanto riguarda i restanti tipi litici; alto rapporto C/Q (Qm/Qtot) e basso rapporto P/F (plagioclasio/feldspati totali); si trovano nei margini continentali di rift (delta Nilo, Arabia, Somalia, Angola, Guyana, piana abissale atlantico, Canada) oppure in bacini di retro arco (golfo del Mexico e mar del Giappone);
  2. sabbie quarzo-litiche (QL suite)Q e Frammenti litici > feldspati, corrispondono alle litoareniti e sublitoareniti; rapporti variabili dei componenti litici; si trovano in bacini di margine attivo e passivo (Gange, canale di Sardegna), in bacini stike-slip (Gibilterra, Alboran, mar Nero) o in sistemi arco-fossa (fossa ellenica, Sumatra);
  3. sabbie lito-vulcaniche (LV suite) → ci sono più frammenti litici vulcanici e corrispondono alle litoareniti e litoareniti feldspatiche; varie composizioni e tessiture di frammenti litici vulcanici; si trovano in bacini vicini agli archi magmatici continentali e intra-oceanici e occupano posizioni di retro-arco e di fore-arc (Filippine e Marianne);
  4. sabbie feldspato-litiche (FL suite) → molti frammenti litici e corrispondono alle litoareniti feldspatiche e arkose litiche; si dividono in 2 sottogruppi:
    1. ricche in plagioclasio;
    2. ricche in K-feldspato;
    Si trovano in bacini particolari (piana abissale Auletine, mar del Giappone) o in bacini di strike-slip (California) o di margine di tipo andino (Alaska) o in bacini di retro-arco (Giappone, Kamchatka, Bering).
I 4 tipi di sabbie possono essere ricondotte a 7 tipi di ambienti tettonici di provenienza:
  1. basamento cratonico → ambiente di intraplacca continentale caratterizzato da sabbie QF suite ricche di Q e povere di F e Frammenti litici;
  2. basamento di accrezione → ambiente intraplacca continentale e strike-slip dove il basamento mostra relitti di copertura e faglie; caratterizzato da sabbie QF suite ricche di F e Frammenti litici in quanto possono essere presenti in questi ambienti locali coperture sedimentarie e metamorfiche di basso grado;
  3. avanfossa sovrascorsa e piegata → ambiente di catena orogenica in margine convergente e stike-slip; caratterizzato da sabbie QL suite variabili in Q, F e Frammenti litici a causa di svariate tipologie litologiche; il Q è elevato quando le rocce madri sono di tipo sedimentario con la presenza quindi di detrito riciclato;
  4. orogene di collisione in margine convergente → caratterizzato da sabbie FL suite variabili in Q, F e Frammenti litici; c'è meno Q di prima perché le rocce madri di tipo sedimentario sono subordinate a quelle metamorfiche di basso grado e ofiolitiche;
  5. arco continentale → ambiente di margine convergente continentale; sabbie LV suite e FL suite variabili in Q ma con più F e Frammenti litici di tipo vulcanico; Q e F sono elevati se le rocce madri sono di tipo plutonico (batoliti granitici);
  6. arco intraoceanico → ambiente di margine convergente; sabbie povere in F e Q ma ricche in Frammenti litici; elevato Q se le rocce madri sono sedimentarie;
  7. arcipelago → ambiente di intraplacca oceanica con vulcani discontinui emersi o sottomarini; sabbie povere in Q e variabili in F e Frammenti litici; la scarsità di Q è dovuta alla composizione sottosatura delle rocce affioranti in questo ambiente.


Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010 

Arenarie: classificazione di Dickinson


Siamo alla fine degli anni '70. Egli parte dal presupposto che la composizione modale dei grani costituenti l'ossatura è in relazione con la tettonica dell'area madre. Considera importante il significato dei frammenti litici che sono tutti quei frammenti composti da più minerali in cui i singoli componenti hanno dimensioni > 62 micron. Non considera invece i frammenti carbonatici perché è difficile distinguere in sezione sottile quelli di provenienza extrabacinale da quelli di provenienza intrabacinale. Inoltre questi non danno nessuna informazione sulla tettonica dell'area madre in quanto sono più legati alle condizioni climatiche.

La composizione dei grani dell'ossatura è calcolata come proporzione volumetrica delle seguenti categorie di grani:
  • grani quarzosi stabili (Q) → comprendono il quarzo monocristallino Qm e i frammenti litici di quarzo policristallino Qp (Q = Qm + Qp);
  • grani monocristallini di feldspato (F) → comprendono i plagioclasi P e il K-feldspato K (F = P + K);
  • frammenti policristallini instabili (L) → di 2 tipi:
    • vulcanici e meta-vulcanici Lv;
    • sedimentari e meta-sedimentari Ls;
(L §= Lv + Ls).

I frammenti litici Lt sono la somma di tutti i frammenti litici instabili e il quarzo policristallino (Lt = L + Qp).

I dati vengono rappresentati con 4 diagrammi triangolari:
  1. Q-F-L → relativo a tutte le popolazioni, evidenzia la stabilità dei grani e quindi il rilievo dell'area di provenienza, l'alterazione, le modalità di trasporto e le rocce madri;
  2. Qm-F-Lt → relativo a tutte le popolazioni, da enfasi alle dimensioni dei grani delle rocce madri;
  3. Qm-P-K → relativo ad una sola parte della popolazione, evidenzia il carattere policristallino o monocristallino dei grani dell'ossatura;
  4. Qp-Lv-Ls 
Tutti e 4 questi triangoli servono per ricostruire la provenienza e i tipi di bacini.

La provenienza deriva da 3 gruppi:
  1. blocco continentale → piattaforme, scudi o basamenti fagliati;
  2. arco magmatico → orogeni di archi insulari attivi o di margini continentali;
  3. orogene riciclato → zone di subduzione, orogeni di collisione o do avampaese.
          BLOCCO CONTINENTALE

Il detrito forma uno spettro di vari tipi di sabbia derivati da:
  • provenienza dall'interno di aree cratoniche → le sabbie derivate da scudi continentali esposti si accumulano sulle piattaforme stesse, su quelle lungo i versanti continentali fratturati, sulle scarpate e sulle sequenze magmatiche di fondo oceanico di bacini oceanici aperti adiacenti. Qui si formano sabbie quarzose con poco feldspato; un alto contenuto di quarzo e di rapporto K/plagioclasio indica un'intensa alterazione sul cratone con basso rilievo e prolungato trasporto su superfici continentali di basso gradiente; sabbie con solo quarzo indicano invece detriti maturi che si accumulano in ambienti oceanici, piattaforme o bacini interni; sabbie provenienti da scudi continentali si depositano infine in bacini caratterizzati da subsidenza e deposizione veloce e per questo sono ricche in feldspato;
  • provenienza da basamento sollevato → le sabbie del basamento continentale fagliato si accumulano in bacini vicini senza trasporto; l'alto rilievo e la rapida erosione delle aree madri svilupperanno sabbie quarzoso-feldspatiche; le sabbie più litiche derivano in parte da copertura sedimentaria e metamorfica che ricoprono parzialmente il basamento granitico e gneissico.
          
          ARCO MAGMATICO
  • archi attivi → dove è presente una copertura vulcanica quasi continua;
  • archi inattivi → dove per l'erosione della copertura possono affiorare plutoni cogenetici.
Le sabbie che provengono da archi attivi sono composte da frammenti di rocce vulcaniche, sono disperse da catene vulcaniche lungo archi insulari attivi e da margini continentali dove le catene vulcaniche sono state poco erose; i luoghi di deposizione di queste sabbie sono le fosse e i bacini sul lato frontale dell'arco, su mari marginali di retro arco e su bacini locali tra la regione vulcanica; i componenti sono feldspati, frammenti vulcanici e poco Q limpido senza vacuoli e inclusioni.
Le sabbie provenienti da archi inattivi hanno composizione complessa ma sicuramente litica dei sedimenti vulcano-clastici; i feldspati e i frammenti litici non vulcanici sono pochi e il quarzo plutonico è più presente di quello vulcanico; negli archi magmatici più maturi il vulcanismo continua anche se la migrazione espone all'erosione le radici plutoniche dell'arco; la copertura vulcanica e il cuore batolitico costituiscono assieme e contemporaneamente la sorgente dei sedimenti.

          OROGENE RICICLATO

Sono costituite da formazioni piegate e fagliate dalle quali si origina un detrito ricco di frammenti di roccia sedimentaria e meta sedimentaria. Si suddivide in:
  • complessi di subduzione, costituiti da sedimenti oceanici e lave deformate;
  • orogeni di collisione, formati lungo le suture crostali tra blocchi continentali un tempo separati;
  • orogeni di avampaese, sviluppate vicino alle suture tra gli archi magmatici e i bacini di retro-arco situati tra blocchi continentali dietro gli archi.
          Per quanto riguarda i primi possiamo dire che questi formano un alto strutturale lungo i fianchi delle fosse tra l'asse delle fosse stesse e le catene vulcaniche situate tra il sistema arco-fossa. In alcuni casi questi alti strutturali emergono come fonti di sedimenti isolati lungo l'arco sedimentario esterno dove vengono erosi argilliti, Grovacche, selce, calcari. I sedimenti che derivano da qui vengono dispersi verso l'arco nel bacino di fronte all'arco e nella fossa dove vengono inglobati nel complesso di subduzione. Le sabbie sono formate da granuli di selce 2 o 3 volte superiori del Q e feldspati associati.
Possono però esistere delle situazioni locali dove i sedimenti raggiungono un grado di maturità mineralogica

          Per i secondi possiamo dire che sono composti da falde e scaglie tettoniche di rocce sedimentarie e meta sedimentarie che rappresentano le sequenze lungo e vicino i margini continentali. I sedimenti derivati da qui sono dispersi da correnti di torbida longitudinalmente all'oceano che si evolve in bacini dovuti alla chiusura dell'oceano relitto, ma anche in bacini di avampaese che fiancheggiano l'orogene. Le sabbie hanno un contenuto in Q intermedio, un rapporto Q/feldspato alto.

          Le ultime formano catene montuose da dove i sedimenti sono dispersi direttamente nei bacini vicini che ricevono sedimenti da aree positive. Le sabbie qui sono ricche di Q e povere di feldspato. Le montagne proteggono i bacini dall'arrivo di sedimenti magmatici. Le sabbie sono riciclate da successioni sedimentarie.  


Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010  

venerdì 22 aprile 2011

Arenarie: classificazione di Folk e Pettijohn


Esistono diversi autori che hanno classificato le arenarie in base alle loro idee e metodi. Ci concentreremo su quelli di Folk, Pettijhon, Dickinson, Zuffa, Valloni&Mezzadri. In questo articolo verranno illustrati i metodi di Folk e di Pettijohn. 

          FOLK

Krynine ha fatto una delle prime classificazioni quantitative evidenziando come la composizione mineralogica delle arenarie è in relazione con la tettonica della regine. Egli ha posto i limiti quantitativi tra 5 tipi di arenarie:

  1. quarzo+selce;
  2. feldspati+caolino;
  3. miche.

Nel 1954 Folk costruì la sua prima classificazione prendendo spunto proprio da Krynine. Egli considera infatti il triangolo classificativo dai vertici Q, F e M dove: Q comprende quarzo e selce, indicativo di un prolungato attacco fisico-chimico o di una derivazione da una zona d'origine più antica, essendo il tipo finale di roccia l'Ortoquarzite; F comprende i feldspati e i frammenti di rocce plutoniche e vulcaniche, indicativo di rocce ignee dei sedimenti, essendo il tipo finale di roccia l'Arkose; M comprende frammenti di rocce metamorfiche, miche e frammenti di metaquarzite, indicativo di origine metamorfica dei sedimenti con tipo finale di roccia la Grovacca.
Successivamente Folk decise di modificare il suo triangolo nel modo seguente:
  • spostò tutti i frammenti di roccia (escluse quelle plutoniche, il granito e lo gneiss) nel terzo vertice;
  • mise la selce nel vertice RF (ex M).
          PROCEDIMENTO:
  1. ignorare la percentuale di matrice argillosa, il cemento chimico, la glauconite, i fosfati, i fossili, i minerali pesanti, le miche, ecc... Ricalcolare quindi al 100% i costituenti essenziali raggruppandoli in uno dei 3 vertici seguenti →
    1. Q: tutti i tipi di QUARZO compresa la metaquarzite;
    2. F: tutti i minerali FELDSPATI e i FRAMMENTI DI GRANITO e di GNEISS;
    3. RF: tutti gli altri frammenti di rocce (SELCE, ARDESIA, SCISTI, VULCANITI, CALCARI, ARGILLE, ARENARIE, SHALE, ecc...);
Questo permetterà di determinare in quale delle 7 principali associazioni rientra la roccia. Se l'arenaria cade nel campo delle SUBLITOARENITI, LITOARENITI o LITOARENITI FELDSPATICHE si procede al punto 2.
  1. Ricalcolare al 100% tutti i frammenti di roccia e inserirli nel triangolo RF. Questo dimostrerà se la roccia è un'ARENITE VULCANICA, una PHILLARENITE o una SEDARENITE.
Se risulta essere quest'ultima allora si procede al punto 3.
  1. Ricalcolare al 100% tutti i frammenti di roccia sedimentaria e inserirli nel triangolo SRF. Questo determinerà se la roccia è una SELCE-ARENITE, una CALCLITTITE, una ARENITE ARENACEA o SHALE-ARENITE.
Parliamo ora nel dettaglio dei vari tipi di roccia in base alle idee di Folk. Partiamo con le Grovacche che originariamente erano viste differentemente in base a 3 gruppi di pensiero:
  1. compatte di colore scuro, semi metamorfosate, ricche in frammenti di roccia e matrice argillosa cloritica;
  2. arenarie argillose, mal selezionate, molta importanza alla tessitura;
  3. caratterizzate da quelle strutture sedimentarie tipiche delle torbiditi.
Folk non era d'accordo e le definì come scure, terrose e confuse dove è possibile dire molto poco.

Come seconde, ecco le Arkose. Il feldspato è il componente principale ed è facilmente decomposto dagli agenti atmosferici. Esistono 3 tipi di Arkose:
  1. Arkose climatiche → se il clima è umido il feldspato sarà decomposto e la roccia sarà una quarzoarenite ma se il clima è secco risulterà al contrario una Arkose supermatura; gli ambienti sedimentari sono spiagge o dune dove i sedimenti sono supermaturi per l'efficacia selettiva della spiaggia; i sedimenti sono sabbie fini e ben arrotondate con feldspato più fine del quarzo (40% o più di feldspato, altro componente principale il quarzo, minerali pesanti: tormalina, zircone e granato, e cemento di quarzo, carbonati, evaporiti);
  2. Arkose vulcaniche → prodotti dalla deposizione veloce di materiale vulcanico; se i materiali sono frammenti di una roccia ofenitica, si dice arenite vulcanica, se di plagioclasio, si dice arenite plagioclasica (instabilità tettonica, clasti da ciottoli a silt, orneblenda a volte abbondante: arenite ad orneblenda, se il vetro vulcanico è il materiale principale si dice arenite vetrosa);
  3. Arkose tettoniche → la sua caratteristica è la contemporanea presenza in esse di feldspati freschi e parzialmente alterati dalle stesse specie.
Terzo tipo di roccia che studieremo sono le Fillareniti. I costituenti maggiori sono i frammenti di rocce metamorfiche: ardesia, phyllite e scisti. Vengono deposte in lunghe e strette fasce lungo i margini continentali tettonicamente attivi. I detriti derivano da una cordigliera sul bordo del margine continentale e si muovono verso l'interno del continente. Vicino al continente dove la subsidenza è inferiore si formeranno fillareniti povere di feldspato, nel bacino oceanico invece dove la subsidenza è maggiore ci saranno fillareniti, areniti vulcaniche e plagioclasiche. Esistono 3 tipi di fillareniti:
  1. di arco esterno → accumulate in bacini con rapida subsidenza, immature e i depositi possono essere dei conglomerati interstratificati e fango; sono rocce composte da frammenti di rocce metamorfiche (shale, ardesia, scisti e gneiss) oltre che quarzo, selce, k-feldspato, plagioclasio e frammenti di rocce vulcaniche;
  2. di ringiovimento → si formano a seguito del sollevamento di aree madri metamorfiche più antiche; se continentali hanno composizione fillarenitica con selce, feldspati e altri componenti mentre se sono marine o di litorale tendono ad avere la composizione delle quarzoareniti;
  3. di arco interno.
Le Quarzoarenitimetamorfiche ma con una stabilità tettonica ancora maggiore rispetto ai 2 casi precedenti. Se l'area di origine è formata da sedimenti antichi si può formare molto più rapidamente.

Infine ci sono le Calclittiti. Sono rocce terrigene del gruppo delle litoareniti dove prevalgono frammenti di rocce carbonatiche. Si formano dove c'è tanta attività tettonica e dove la copertura sedimentaria è potente. L'area di alimentazione deve avere rilievi aspri e i sedimenti sono deposti in pianure alluvionali o in canali. Contengono granuli di quarzo, frammenti di selce, di arenaria e di siltite. Il cemento è calcitico.

          PETTIJOHN


I componenti principali per la classificazione delle arenarie sono: quarzo, feldspati e frammenti di roccia (hanno dimensioni delle sabbie e sono frammenti di rocce ignee finemente granulare, sedimentarie e metamorfiche).

Egli suddivide le arenarie in 3 gruppi:
  1. areniti → < 15% di matrice;
  2. Grovacche → matrice tra il 15% e il 75%;
  3. fanghi, argille → > 75% di matrice.
La granulometria risulta quindi in funzione della presenza di matrice e dalla composizione dei grani costituenti l'ossatura.

Esempio:

Areniti arcosiche → poca matrice, molto feldspato;
Grovacche feldspatiche → molta matrice.

È stato criticato da Dickinson per la difficoltà di definire in modo sicuro la matrice e per la sua stessa origine poligenica e i problemi interpretativi che ne risultano.
La matrice è un prodotto della cristallizzazione in cui a volte le reazioni interessano i granuli dell'ossatura. Molti l'attribuiscono alla trasformazione dei frammenti instabili in fase diagenetica. 

Dickinson divide la matrice in:
  • proto-matrice → fango detritico intrappolato nei vuoti dell'ossatura al momento della sedimentazione;
  • orto-matrice → materiale ricristallizzato;
  • epimatrice → alterazione diagenetica dei grani instabili dell'ossatura;
  • pseudomatrice → deformazione e schiacciamento di frammenti pelitici neri.

Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010