giovedì 14 aprile 2011

Forma e Rotondità dei clasti




Ancora non abbiamo parlato di forma e neanche di rotondità, per questo lo faremo proprio ora. 

La figura di riferimento in sedimentologia è la sfera. Le particelle in sospensione che sono sferiche tendono a separarsi dalle altre di dimensioni e densità uguali depositandosi prima di quelle meno sferiche le quali vengono trasportate più a lungo. Nel fondo invece succede completamente l'opposto, le particelle meno sferiche tenderanno a fermarsi prima di quelle sferiche per il maggior attrito.

Indichiamo con S l'indice di sfericitàavente formula:

S = dn/Ds = 1, dove il primo termine equivale al diametro nominale e il secondo al diametro della sfera circoscritta.

Questo indice però non è sufficiente per definire al meglio la forma di una particella e infatti non riconosce ne le forme allungate ne quelle schiacciate. Introduciamo per questo motivo un secondo indice, quello della forma

b/a e c/b, dove b è la larghezza (diametro medio), a la lunghezza (diametro massimo), c lo spessore (diametro minimo)

per dividere le forme in 4 classi.
Oltre al secondo indice introdotto qui sopra bisogna tener conto dell'arrotondamento RHO, il quale altro non è che il rapporto tra il raggio medio di curvatura degli spigoli e il raggio del cerchio massimo inscrivibile.

Bisogna tenere presente che solo la sfera ha s=1 e RHO=1.

Con questi parametri Pettijhon ha stilato un'ottima scala detta appunto scala di Pettijhon:

  • angoloso RHO = 0-0,15, niente abrasione sui clasti, angoli secondari molti e acuti (15-30);
  • subangoloso RHO = 0,15-0,25, primi segni di abrasione, i clasti hanno ancora forma originaria con le facce intatte, gli angoli sono leggermente meno arrotondati e gli angoli secondari leggermente meno di numero (10-20);
  • subarrotondato RHO = 0,25-0,40, forma originaria facilmente riconoscibile, angoli smussati, la loro curvatura è attenuata e la superficie delle facce originarie sono molto ridotte, gli angoli secondari sono arrotondati e ridotti (5-10);
  • arrotondatoRHO = 0,40-0,60, facce quasi scomparse, angoli rientranti, arrotondati e ampia curvatura, angoli secondari attenuati e pochi, forma originaria ancora riconoscibile, a 0,60 RHO gli angoli secondari non ci sono più;
  • ben arrotondatoRHO = 0,60-1, nessun angolo, niente facce riconoscibili, tutta la superficie è formata da curve attenuate e le aree piatte sono assenti, nessun angolo secondario e la forma originaria è solo intuibile.

Nel 1922 Wentworth ha studiato la relazione esistente tra la forma e la rotondità dei ciottoli di spiaggi. Egli sostiene che appiattimento e rotondità sono inversamente proporzionali, più un ciottolo è appiattito e meno è rotondo, più un ciottolo è arrotondato e più lunga e intensa è stata la sua abrasione, i ciottoli piatti sono quelli meno modificati. 
Esiste però anche una relazione tra arrotondamento e dimensione, le dimensioni maggiori di una sabbia sono più arrotondate di quelle minori, questo è più evidente in sedimenti tessituralmente più maturi. 


Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010 


martedì 12 aprile 2011

Distribuzioni dimensionali



La distribuzione dei sedimenti è legata alla loro provenienza ed è emerso che le quantità dei sedimenti che ricade nelle classi granulometriche 4-2 mm e 0,125-0,062 mm è meno abbondate rispetto dei sedimenti che ricadono in tutte le altre classi granulometriche.

Qual'è il motivo?

Una teoria è che quei sedimenti di tali dimensioni siano separate dalla maggioranza dei sedimenti naturali a causa di fenomeni legati all'energia degli ambienti deposizionali. Se così fosse questi sedimenti dovrebbero quindi essere concentrati altrove. L'ipotesi che alcune dimensioni siano scarsamente presenti nel detrito che si genera dalla disgregazione delle rocce madri è dunque possibile.

Abbiamo accennato alla disgregazione delle rocce, queste possono produrre blocchi > 256 mm o sabbie. Nei primi le dimensioni dipendono dalle dimensioni dei cristalli della roccia madre e non sono superiori a 1 mm. I secondi si riducono invece a ciottoli di 4-64 mm per effetto dell'abrasione e il materiale abraso avrà dimensione d'argilla o silt ma mai quella della sabbia.

         ALTERAZIONE CHIMICA

Produce tanto materiale argilloso. A parità di condizioni climatiche:

  • variando le proporzioni di quarzo e feldspato si otterranno sedimenti con diverse proporzioni fra materiale argilloso e materiale grossolano;
  • variando le dimensioni dei cristalli della roccia madre la frazione più grossolana avrà materiale più fine;
  • se la roccia madre è costituita da rocce metamorfiche fini si otterrà un detrito fine.

Le rocce, si sa, vengono trasportate tramite mezzi di trasporta: l'acqua (il più importante), il vento, i ghiacci e la gravità. In particolare però esistono 2 tipi di trasporto:

  1. trasporto particellare: dove il mezzo di trasporto e le particelle sono l'uno indipendente dall'altro (fiumi, correnti marine); è in grado di operare una selezione in quanto il mezzo di trasporto erode, trasporta e deposita solo le particelle che riesce a muovere;
  2. trasporto di massa: dove il mezzo di trasporto e le particelle sono un unico corpo (colate di fango, corrente di torbida); non è in grado di operare una selezione.

Le forze che agiscono sulle particelle sedimentarie sono:

  • flusso del mezzo di trasporto → laminare o turbolento;
  • granulometria del materiale di fondo → se ci sono particelle più grossolane di quelle trasportate queste si possono intrappolare tra di loro;
  • forma delle particelle → le particelle a forma piatta si comporteranno diversamente da quelle sferiche;
  • composizione delle particelle → le particelle con materiale più denso si depositeranno con dimensioni inferiori di quelle meno dense;
  • presenza di matrice di fondo → ostacola la rimozione di particelle dal fondo.
È comunque dimostrato che le dimensioni delle particelle diminuiscono col trasporto. Le particelle più grosse subiscono un'abrasione molto maggiore rispetto a quelle più piccole (sabbia).
Il materiale prodotto dalle particelle più grossolane è silt o argilla e vengono allontanati dal materiale grossolano.

Il controllo della distribuzione dimensionale avviene per cause legate al fattore idraulico del mezzo di trasporto. 

Questo controllo può essere ricondotto principalmente a 2 fattori:

  1. intrappolamenti di materiale fine all'interno di materiale grossolano: è la causa di distribuzioni bi-trimodali;
  2. modalità di trasporto: Visher ha dimostrato che le distribuzioni dei sedimenti possono essere composte da 3 popolazioni principali (trasporti per sospensione, saltazione e trazione) i quali hanno una distribuzione normale (gaussiana).


Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010 

domenica 10 aprile 2011

Rappresentazione grafica dell'analisi granulometrica


Si è osservato che molte distribuzioni granulometriche seguono più o meno l'andamento della curva di Gauss il che permette di fare semplici calcoli matematici attraverso i parametri statistici.

Elenchiamoli qui di seguito:

  • moda: corrisponde al punto più alto della curva;
  • mediana: corrisponde al punto sull'asse che divide la popolazione in 2 parti uguali, il 50% sta a sinistra e il 50% a destra;
  • media: quella aritmetica definita come la sommatoria di tutte le osservazioni diviso per il numero di osservazioni;
  • deviazione standard: misura il grado di selezione di un sedimento, in una gaussiana questa è la distanza compresa fra il valore medio e i punti di flesso della curva situati simmetricamente a destra e sinistra.

In una curva ideale i primi 3 parametri coinciderebbero.

Altra caratteristica gaussiana è la dispersione attorno al punto centrale. Questa è definita attraverso la varianza e la deviazione standard. La prima è la media degli scarti quadratici di tutte le possibili n osservazioni rispetto al valore centrale, la seconda invece altro non è che la radice quadrata della varianza oltre che essere ciò che ho scritto poco prima.
Questi dati una volta inseriti in tabella vengono immessi in dei grafici differenti a seconda dello scopo d'utilizzo. Esistono comunque alcune cose in comune:

  • la variabile indipendente (dimensione dei granuli) va messa in ascissa;
  • le frequenze corrispondenti in ordinata;
  • in ascissa le particelle più grossolane si mettono a sinistra in modo che le dimensioni siano decrescenti da sinistra verso destra.
Le unità di misura utilizzate sono il mm o il Fi.

Ecco i vari tipi di grafici:

ISTOGRAMMA

Le percentuali relative a ciascuna classe granulometrica sono rappresentate con delle colonne di altezza y corrispondente o proporzionale alla percentuale. Non si utilizza questo tipo di grafico per calcolare la mediana o la deviazione standard dato che l'unico parametro che può essere tirato fuori è la moda, corrispondente alla classe più frequente.
É un buon grafico con l'unico inconveniente che la sua forma dipende dall'intervallo di classe utilizzato. In questo modo la rappresentazione di uno stesso campione potrebbe essere differente. C'è da dire anche che la forma dipende dalla posizione dei limiti di intervallo di classe scelto.

CURVA DI FREQUENZA

Forma limite a cui tende l'istogramma per gli intervalli di classe che tendono a 0. Non legge i parametri statistici ma è ottima per la visualizzazione della distribuzione granulometrica di un sedimento non essendo dipendente dall'ampiezza degli intervalli di classe.

CURVA CUMULATIVA IN ORDINATA ARITMETICA

L'ordinata è una scala aritmetica da 0 a 100 e riporta le percentuali cumulative del sedimento. Una curva gaussiana in questo caso sarebbe una curva a S. Ma come si costruisce una curva simile? Non è difficile:
se per esempio l'intervallo di classe 0-0.5 Fi contiene lo 0,9% del materiale ovvero lo 0,9% del materiale ha dimensioni > 0,5 Fi il punto sul grafico sarà:

x = 0,5 Fi; y = 0,9%

Se poi in corrispondenza della dimensione di 1 Fi si ha che il 3,8% del materiale ha dimensioni maggiori il secondo punto sarà:

x = 1 Fi; y = 3,8% → somma delle 2 classi 0-0,5 Fi e 0,5-1 Fi

Alla fine si uniscono i punti con una linea. Con questa curva si possono calcolare i parametri statistici.

CURVA CUMULATIVA IN ORDINATA DI PROBABILITA'

Si costruisce come quella precedente ma siccome la gaussiana ideale qui sarebbe una retta i punti dei campioni naturali si raccordano con una spezzata e non continua. Viene eliminata così la discrezionalità dell'operatore nel tracciare la curva.
Questa curva è utile per capire quanto la distribuzione di frequenza di un sedimento si allontana da quella gaussiana e per calcolare i parametri statistici. Nel complesso risulta la più utile di tutte ma anche la meno illustrativa. 

Ritorniamo a parlare delle misure della tendenza centrale e quindi a spiegare meglio i termini precedenti. La moda altro non è che il diametro corrispondente alle particelle che hanno nella distribuzione totale la maggior frequenza. Essa corrisponde anche alla classe modale più abbondante nell'istogramma, al punto più alto della curva di frequenza e al punto più alto della curva cumulativa. 
I sedimenti però si possono presentare con una sola evidente classe modale, detti quindi unimodali, o con più classi dove la frequenza è maggiore delle classi circostanti, dette quindi plurimodali. Quest'ultimo termine ci indica che esiste una classe modale dove la frequenza è massima e altre dove è inferiore. Si riflette così il contributo di 2 regioni o eventi energetici nell'ambiente di deposizione.
La mediana invece è il valore dove il 50% delle particelle è superiore e il 50% è inferiore e non tiene conto di tutta la curva.
La media grafica tiene conto di 3 punti della curva e non solo quello centrale.


Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010 

sabato 9 aprile 2011

Metodi di analisi granulometrica

 Fonte: http://www.giordano.it/p88-c242-t4-le-nuove-norme-tecniche-per-le-costruzioni-ed-i-controlli-da-effettuare.php

Se ieri abbiamo parlato della granulometria oggi parleremo dei metodi di analisi della granulometria.

Possiamo elencare i vari metodi in base alle dimensioni delle particelle da studiare.

           CLASTI > 16 mm
:

Si useranno qui le misure dirette. Si va in campagna e si costruisce una griglia con le maglie proporzionali alla grandezza dei clasti da studiare. Queste maglie sono fatte da funi e picchetti. Si procede alla misura delle dimensioni maggiori (a), intermedie (b) e minime (c) di ogni clasto che cade in corrispondenza dell’intersezione delle maglie. Si utilizza il metro.

           CIOTTOLI:

Si va in laboratorio e si userà un calibro per prelevare una quantità di materiale sufficiente per lo studio granulometrico (100 clasti). È stato osservato che esiste una relazione diretta tra la dimensione massima (a) e il diametro medio dei ciottoli e quindi questo ci permette di semplificare le misurazioni in quanto basterà calcolare solo l’asse massimo dei ciottoli e il diametro medio.

           SABBIA, SILT:

Le misure vengono effettuate in SEZIONE SOTTILE utilizzando un microscopio ottico con un apposito tavolino traslatore che sposta il campione a passi programmati simulando una griglia per l’identificazione die grani da misurare. Si adopera inoltre un oculatore con una scala di riferimento dimensionale.

           SILT FINE, ARGILLE:

Si usa il SEM, microscopio a scansione elettronica.

          CLASTI compresi tra i 16 mm e i 0,050 mm

 Fonte: http://www.daverrazzano.it/Progetti/2007_08/html/an_granulom.htm

Si utilizza il metodo dei setacci à I setacci sono costituiti da maglie a fori quadrati delle dimensioni di 1 Fi, ½ Fi e ¼ Fi. Vengono messi in fila formando una pila con il setaccio più grande in alto e quello più piccolo in basso. Alla fine della pila viene inserito un piatto per la raccolta del materiale passante per l’ultmo setaccio. La pila viene messa in un apposito apparecchio agitatore dotato di temporizzatore che scuote il materiale favorendo il suo passaggio attraverso i fori dei setacci corrispondenti al loro diametro medio. L’agitazione della pila dovrebbe durare 1 ora per una misurazione ottimale ma qualche volta bastano 20-30 minuti per averne una indicativa.
Queto metodo però ha le sue pecche e sono:

  1. Non riflette le reali dimensioni della particella ma solo quelle medie e minime;
  2. Essendo i fori quadrati e le particelle irregolari il materiale che passerà attraverso i fori non sarà perfettamente corrispondente alle dimensioni di questi fori ma sarà leggermente inferiore.

Se a questo metodo ci colleghiamo un PC e una bilancia si può velocizzare tutta l’operazone.

Passiamo ora a parlare degli apparati di sedimentazione che sono tutti quei metodi basati sulla Legge di Stockes. Quest’ultima dice che la velocità di caduta di un solido in un liquido è direttamente proporzionale alla differenza di densità tra liquido e solido, alla forza di gravità e alla dimensione al quadrato della particella ma inversamente proporzionale alla viscosità del liquido.

Questa legge vale per le seguenti condizioni:

  • Le particelle devono essere rigide;
  • Le particelle devono essere arrotondate;
  • Le particelle devono essere più dell’1% rispetto al volume totale per evitare interferenze;
  • Le particelle devono essere di dimensioni maggiori a 0,5 mcron perchè le particelle più piccole subirebbero l’influenza dei moti browoniani;
  • Le particelle devono avere dimensioni inferiori ai 50 micron;
  • Il liquido deve essere relativamente infinito rispetto al contenuto solido;
  • La temperatura deve essere costante in quanto questa influisce sulla viscosità del liquido.

METODO DELLA PIPETTA:

Fonte: http://www.tecnotest.it/Ricerca.aspx?lang=it&chapter=&prodid=1792&capsez=

Consiste nel prelievo di materiale in sospensione ad una certa profondità s in un dato tempo t. Tutte le particelle con dimensione superiore a quelle in relazione a s e t e secondo la legge di Stokes non saranno più sospese a quell’altezza ma saranno già scese verso il basso. Il prelievo avviene tramite pipetta.

            METODI BASATI SULLA DENSITA’ OTTICA:

Il procedimento è lo stesso del precedente con l’unica differenza che la quantità d particelle presenti nelle varie granulometrie sono misurate come densità ottica anziché+ come peso mediante il prelievo. Quello che bisogna a avere per utilizzare questo metodo è un contenitore, una sorgente luminosa a luce fredda , un sensore ottico e un sistema di trascinamento a motore. L’assorbimento della luce ad una determinata altezza è direttamente proporzionale alla quantità di particelle di nota dimensione per quell’altezza  e per un dato tempo come stabilito dalla legge. Ll’inizio il sensore resta in basso per misurare le particelle più grosse per poi salire verso l’ato e misurare quelle più piccole.
Il vantaggi od questo metodo è che l’operazione si effettua molto più velocemente rispetto ai metodi precedenti.

             BILANCIA DI SEDIMENTAZIONE:

Consiste nell’immersione di un piatto bilancia all’nterno di un apparato di sedimentazione. Le particelle vengono rilasciate all’inizio del cilindro di sedimentazione. Le particelle più grosse cadranno per prime mentre quelle più piccole per ultime. L’accumulo sul piatto viene registrato automaticamente e messo in relazione in base alle dimensioni secondo la legge di Stockes con un PC. Essendo una misurazione cumulativa le percentuali vengono calcolate per differenza.
Questo metodo ha il vantaggio di misurare anche la sabbia in quanto il tubo è molto alto e permette una separazione completa del materiale in sospensione.

              SEDIGRAFO

 Fonte: http://www.csaricerche.com/it/gallery.php?id_cat=27&page=3

È un apparecchio in grado di determinare le dimensioni delle particelle attraverso l’attenuazione di un fascio di RAGGI-X sfruttando la legge di Stockes. Via via che le particelle si dispongono il fascio di raggi aumenta.

              METODI A DIFFRAZIONE LASER:

Si basano sul fatto che le particelle di una certa dimensione diffraggono un fascio di luce con un dato angolo che è tanto più alto tanto quanto la particella è più piccola 


Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010 

venerdì 8 aprile 2011

Granulometria dei sedimenti terrigeni

Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Rosso_ammonitico 

Oggi parleremo di Wadell e Wentworth e quindi in generale della granulometria dei sedimenti terrigeni. 

Il primo di questi 2 studiosi sostiene che il volume delle particelle essendo indipendente dalla forma esprime esattamente la dimensione della particella stessa.
Un altro modo di esprimere le dimensioni di particelle irregolari consiste nella misura del diametro massimo (a), diametro medio (b) e diametro minimo (c). Secondo Wadell però il diametro non esprime il volume di un solido irregolare ma ha significato solo se applicato ad una sfera dove i termini diametro e dimensione sono sinonimi. Egli infatti ha definito le dimensioni di una particella sedimentaria in termini di vero diametro nominale che è uguale  al diametro di una sfera dello stesso volume della particella. Questo vale però per le particelle grandi il che ha permesso di introdurre il termine di diametro sedimentario ovvero il diametro di una sfera di quarzo che in uno stesso fluido ha uguale velocità di sedimentazione della particella presa in esame.

Per rappresentare le dimensioni delle particelle si utilizzano le classi granulometriche con i loro intervalli detti limiti di classe. Tutti i dati poi vengono riportati in una tabella di frequenza. Si ottiene così una rappresentazione discontinua dei dati e l’insieme di questi dati in una classe si considera accentrata attorno al punto medio della classe.
I dati vengono classificai attraverso 2 variabili:

  1. INTERVALLO DI CLASSE: è una variabile indipendente, arbitraria e influenza la frequenza dei dati in ogni classe;
  2. FREQUENZA DELLE MISURE: dipende dall’intervallo di classe.

Le misure delle particelle si misurano in scala millimetrica che a sua volta viene suddivisa in intervalli di classe dove raggruppare i dati. Questo sistema di suddivisione è detto grado di scala.

Passiamo ora al secondo studioso, Wentworth. Egli ha inventato la sua scala granulometrica che è costruita partendo dalla dimensione di 1 mm e la quale si evolve in progressione geometrica verso l’alto con ragione di 2 e verso il basso con ragione di ½. Si deduce che ogni limite di classe è il DOPPIO di quello precedente e la META’ di quello successivo. Questa scala è suddivisa in intervalli di classe non uguali. Questi possono essere a loro volta suddivisi in 2 classi partendo sempre dalla dimensione di 1 mm ed evolvendo in progressione geometrica verso l’alto con ragione di radice quadrata di 2 e verso il basso di 1/radice quadrata di 2.

Concludendo questo breve escursus faccio presente che esiste una scala Fi che  non è altro che la trasformazione logaritmica della scala di Wentworth ed ha l’enorme vantaggio di avere come limite di classe numeri interi. È stata inventata da Krumbein, essa fa uso della ragione di 2 e ½ esprimendo il diametro in mm. Nella formula il segno – consente di esprimere le frazioni del mm come numeri positivi in scala Fi

Fonti: Emilio Saccani, Petrografia delle rocce sedimentarie terrigene, 2010 


lunedì 4 aprile 2011

Stratigrafia del manto nevoso e rischio valanghe



È importante studiare settimanalmente lo stato della neve in quanto questa ci può dare informazioni sulla stabilità del manto e potrebbe quindi prevenire incidenti causati da valanghe. Grazie a questo studio infatti si possono capire i movimenti che potrebbero scaturirsi sui versanti e allertare chiunque voglia avventurarsi fuori pista o comunque in montagna.

Questa settimana sono stato in Val di Fiemme per effettuare delle rilevazioni riguardanti appunto il manto nevoso. Vi spiegherò nel particolare in cosa consistono. 

Partiamo elencando tutti gli strumenti che servono per fare questo tipo di analisi:

  • Tavoletta cristallografica;
  • lente;
  • carotatore;
  • dinamometro;
  • sacchetto per la neve;
  • foglio per profilo;
  • termometro digitale;
  • asta; 
  • pala. 

I tecnici che fanno queste operazioni hanno a disposizione più campi neve dove effettuare i loro calcoli e dove dispongono di tutti questi attrezzi. Il campo neve ovviamente deve avere grandezza adeguata e grande a tal punto da riuscire nell'arco di un anno ad effettuare tutte le misurazioni necessarie. Questo perchè la parte utilizzata per le analisi non può essere riutilizzata in un secondo tempo e bisogna spostarsi pochi cm più in la. 

Foto 1 - Campo neve 

Il primo passo è quello di appoggiare l'asta dotata di una scala in cm sulla superficie della neve senza imprimere nessun tipo di peso. L'asta è normalmente alta 1 m e pesa 1 kg e consiste in un tubo avente una scala in cm e in una parte finale appuntita per facilitare la penetrazione nella neve. A quest'asta viene aggiunto successivamente un peso di 1 kg nella parte superiore che servirà a farla penetrare sempre più nella neve grazie ad una serie di colpi. Quest'ultimi verranno segnati nell'apposito spazio del foglio per il profilo. Messa l'asta sulla neve ci si affretta a scrivere immediatamente sul foglio appena citato quanto questa è sprofondata. Il foglio è costituito principalmente da 3 parti caratterizzate da una serie di colonne dove si inseriscono tutti i dati riguardanti il contenuto in acqua liquida della neve, la forma dei grani FF, le dimensioni dei grani E e il test della mano R. Il primo componente indica il tipo della neve presente ovvero se questa è asciutta (1), umida (2), bagnata (3), molto bagnata (4), fradicia (5). Il secondo componente indica le varie forme nei quali i grani di neve si presentano al momento dello studio. Le dimensioni dei grani vengono misurate in mm mentre il test della mano consiste nel valutare la durezza della neve e si indica con i seguenti valori: pugno (1), 4 dita (2), 1 dito (3), matita (4), lama coltello (5), ghiaccio (6). Nel foglio per il profilo viene poi indicato il luogo, l'altitudine, il rilevatore e tutta una serie di dati riguardanti la zona di rilevamento. 


Foto 2 - Asta 

Iniziamo a descrivere i vari passi e vedere dove e come mettere i dati rilevati nel foglio in modo da rendere più chiaro il tutto. Abbiamo fin'ora inserito l'asta senza nessun peso aggiunto nella neve. Questa viene indicata come prima misurazione e segnata quindi sul foglio. Si segna nella prima colonna il peso dell'asta Q (1), nella seconda il peso aggiunto P e quindi (0) nel nostro caso, nella terza il numero N di colpi del peso aggiunto e quindi ancora (0), nella quarta l'altezza da dove viene rilasciato il peso H (0), nel quinto la profondità di quanto è scesa l'asta X (3), nella sesta la differenza di profondità dalla misurazione precedente (0) e nella sesta e ultima colonna la formula R che spiegheremo successivamente. Il criterio con il quale si stabilisce quanti colpi dare al peso e quindi quando fermarsi per segnare a che profondità si è arrivati con la penetrazione dell'asta è tutta a discapito del rilevatore che in base all'esperienza capisce quando ci si trova in presenza di un cambio di strato. Queste misurazioni infatti servono per indicarci quanti strati diversi troviamo all'interno del nostro manto nevoso. Il cambio di strato è intuibile facendo attenzione al modo di penetrazione dell'asta stessa. Quando quest'ultima al colpo del peso tende a scendere in maniere diversa dai colpi precedenti vuol dire che siamo in presenza di un nuovo strato, più o meno resistente.
Procediamo inserendo il peso da 1 kg segnando questa operazione come una ulteriore misura. L'asta non si è mossa e quindi si riempirà il foglio con i seguenti numeri: 1,1 (peso aggiunto),0,0,3,0,20. La terza misurazione è risultata 1,1,4,2,6,3,47. Detto in parole povere significa che abbiamo dato 4 colpi da un'altezza di 2 cm e l'asta è scesa a 6 cm ovvero 3 cm in più rispetto a prima. Abbiamo continuato così fino a raggiungere l'altezza della neve massima che è risultata di 87 cm.

Segnato i dati si passa alla fese successiva che consiste nell'individuare e verificare i vari strati presenti nel manto nevoso. Si scava quindi con una pala dove si è inserita l'asta fino a raggiungere il terreno. Una volta scoperta l'asta ci si aiuta con un pennello per individuare meglio i singoli strati che vengono riconosciuti in base sempre all'esperienza del rilevatore ma che si possono notare anche dal cambio di contrasto presenti sulla colonna di neve. Nel nostro caso si sono rilevati circa 7 strati. 

Foto 3 - Riconoscimento strati 


Per ogni strato si procede quindi a individuare il tipo di neve, la durezza, il peso e la forma dei grani contenuti. Nella sezione dedicata verrà quindi indicato l'altezza dello strato Da-A, il contenuto in acqua liquida, la forma dei grani FF (individuata tramite la lente), la dimensione E (individuata tramite la lente) e il test della mano R con eventuali commenti. Gli strati da noi trovati sono stati 7 composti da neve asciutta per tutti gli strati forchè i primi due dove la neve è risultata umida. La dimensione varia tra i 0,3 mm dei primi strati ai 1,5 mm dell'ultimo fatta eccezione del sesto strato tra i 52 cm e i 15 cm avente dimensioni dei grani pari a 12 mm. 

Foto 5 - Riconoscimento forma grani 


La fase 3 consiste nella misurazione della temperatura della neve tramite il termometro digitale. Normalmente, dipende dai casi, si prende la temperatura ogni 10 cm. Nel nostro caso la neve è passata dai -3,5°C del secondo strato fino ai -0,2°C dell'ultimo. Il primo strato essendo a contatto con i raggi solari è risultato pari a 0°C. Nel foglio vengono inseriti i dati solo le colonne H (l'altezza della misura) e C (temperatura). 



Foto 6 - Termometro digitale 


Ultima fase è la misurazione del peso tramite il dinamometro. Si pesa ogni singolo strato se possibile. Si utilizza un carotatore che serve per raccogliere la neve e per inserirla in un sacchetto apposito. Si procede alla lettura del peso usando il dinamometro. Ogni strato e tipologia di neve ha un un suo peso. 


Foto 7 - Peso della neve, dinamometro 

Tutti i dati trovati vanno ovviamente segnati nel foglio per il profilo. La forma dei grani va letta attraverso una lente ed è importante fare questo tipo di misurazioni in quanto ci forniscono, come detto uin precedenza, il tipo di coesione che ha la neve. Si può capire subito il tipo di valanga che potrebbe scaturirsi dal versante nel quale stiamo effettuando il versante. 



Foto 8, 9 - Foglio per il profilo 

Ribadisco l'importanza di queste misurazioni e la bravura degli operatori che le effettuano. Sono importantissimi per quanto riguarda la prevenzione di incidenti causati da valanghe e importanti perchè danno sempre un quadro generale della situazione valnghiva nei luoghi di montagna a chi volesse fare gite sciistiche. Esiste una scala di rischio che viene stilata grazie a questo. Eccola qui (fonte: http://www.visitfiemme.it/cosa-fare/inverno/valanghe): 

  1. debole (condizioni generalmente sicure); 
  2. moderato (condizioni favorevoli a gite ma bisogna comunque considerare qualche zona pericolosa); 
  3. marcato (gite sciistiche limitate e richiesta di buone capacità di valutazione locale); 
  4. forte (gite molto limitate e richiesta un'ottima capacità di valutazione locale); 
  5. molto forte (gite non possibili). 
Vi rimando a consultare il sito dell'ARPAV e vi consiglio ogni qualvolta decidiate di avventurarvi in montagna di telefonare alla Guardia Forestale o a qualsiasi ente che si occupi della sicurezza del luogo per richiedere la situazione del rischio valanghe ed ulteriori consigli. 

venerdì 1 aprile 2011

Turismo e viaggio: breve riflessione per una prima distinzione



"Vi presento un mio collega nonchè ex compagno di studio durante la triennale che ha molto da dire su quel che riguarda l'avventura. Ama la bicicletta e ama scoprire nuovi territori. Le due parole insieme fanno si che Alberto si addentra spesso in viaggi pieni di emozioni e di un qualcosa di fantastico: natura, villaggi, culture, ambienti sono le sue meravigliose scoperte durante le sue avventure. 
Ecco qui il suo primo articolo nel mio blog sperando che questo non sia altro che il primo di una lunga serie." 

Oggetto: articolo del dott. Alberto Cogo-Geografo 

In questo mio primo articolo di questo blog desidero parlare del mio viaggio a Capo Nord sotto un’ottica geografica. Voglio percorrere quella strada difficile che va a distinguere quello che è il viaggio dal turismo.
Credo che chiunque, al termine di una vacanza (uso volutamente questo termine per indicare un lasso temporale passato lontano dall’abitazione o dal luogo di vita quotidiana) voglia usare la parola viaggio più della parola turismo e, se poi è consentito, condirla con la parola avventura. Il desiderio è tanto vasto ed importante da far sì che ogni proposta vacanziera-turistica trova spazio per la parola viaggio (pure per la parola avventura!).
Quindi, che differenza c’è tra il viaggio che ho fatto a Capo Nord e il viaggio precedente a Portofino?
Serve una premessa. Capo Nord è un viaggio di 10000 km in bicicletta ed in solitaria durato un centinaio di giorni. Portofino è stata una vacanza di 5 giorni al mare.

Già nel descriverli uso il termine viaggio solo per uno dei due casi, ma questo è il mio istinto.
È chiaro che stiamo parlando di cose diametralmente opposte, ma se facciamo attenzione il confine fra viaggio e turismo è sottile e di difficile distinzione. Sì, perché non basta una bicicletta o un mezzo di fortuna per far sì che quello spostamento si possa definire viaggio. E non serve nemmeno la barba lunga o la fatica; non servono posti epici per connotare un viaggio.
Molti viaggi in posti avventurosi sono mero turismo.
Ma trovo opportuno fare un distinguo tra “viaggiare” e ”viaggio”. Viaggiare è il verbo, indica uno spostamento e questo atto può rientrare nella categoria viaggio o turismo. Approfondisco: un turista viaggia ma non è un viaggiatore nel termine più “romantico” che esso racchiude. Il moto, lo spostamento sulla superficie terrestre rientra nel verbo viaggiare, ma i modi di questo viaggiare definiscono se colui che si sposta è un viaggiatore oppure un turista.
Nella ricerca della differenza fra viaggio e turismo ci si accorge di rientrare già nel verbo viaggiare e che è necessario cercare qualcosa che va oltre la fisicità. Questo proprio perché l’atto fisico di spostarsi sulla superficie terrestre non permette, nonostante infiniti distinguo possibili, di dare paletti fissi su ciò che è viaggio e ciò che è turismo.
Ci si trova davanti ad una tavola imbandita di infiniti dolciumi dati da infinite combinazioni di creme e cioccolate e a dover definire quelli gustosi in base agli ingredienti. Impossibile.
È necessario cambiare radicalmente il nostro punto di vista.
Fortunatamente il libro di Boyd “Heritage e turismo” pone una problematica simile. Esso si affida ad un esempio decisamente azzeccato e che inizia distinguendo il Turismo Religioso dal Pellegrinaggio.
Il turista religioso lo si può identificare come un signore Cristiano, occidentale, che visita i monasteri buddisti con una curiosità ed uno stimolo quasi scientifico, di conoscenza. (Vale anche per il cinese che visita San Pietro!)
Il Pellegrino invece riveste una figura completamente diversa. Potrebbe trattarsi di una persona che ignora completamente l’arte delle chiese spagnole, che ignora la presenza di Gaudì o di Picasso, ma che percorre il Cammino di Santiago volto solamente a soddisfare la sua ricerca di spiritualità.
Ecco il punto di vista diverso, ecco la sottile ma sostanziale differenza fra turismo e viaggio. Il viaggio porta con sé non solo lo spostamento fisico, non solo la fatica o la comodità, ma anche uno spostamento dell’anima di chi lo compie. Chi fa turismo generalmente accresce la sua cultura, il suo senso di benessere, il suo relax, ma il suo peregrinare non va a soddisfare una necessità primordiale, radicata profondamente dentro la sua anima.
Il viaggiatore è in ritardo, è un ritardatario. La sua anima è già decine di chilometri più avanti, ha già iniziato a camminare in quella direzione da molto tempo. Il viaggiatore la segue. Quando parte per un viaggio non sa se la direzione che prenderà sarà quella della sua anima. Se così non fosse dovrà accettare di essere catalogato come turista, come il più comune dei turisti.
Ecco che, a definire ciò che è viaggio, può intervenire solamente chi lo ha vissuto. Non c’è stupore se due ragazzi con lo zaino in spalla e con tenda e sacco a pelo stanno facendo turismo e se un signore distinto in aereo stia facendo un viaggio.
Guardando brevemente alle mie esperienze, so riconoscere a colpo d’occhio quelle che sono state turismo e quelle che sono state viaggio. Ho fatto un viaggio in Irlanda in aereo e autobus ed ho fatto il turista in Spagna per un mese in bicicletta.
Capo Nord? Lo saprò solo fra qualche mese o anno. Però, in tutta sincerità, ogni tanto, aspettando che il semaforo diventi verde, fermo con la mia auto, guardo le cime degli alberi che si muovono. Cerco di cogliere quanto vento potrò incontrare appena fuori dalla città, cerco di cogliere se quel vento porta pioggia o bel tempo, di capire se quel vento mi spingerà o mi verrà contro. Strofino la mano contro la barba pungente, mi sembra di sentirla folta come quando attraversavo la Norvegia, come nelle giornate con la neve oppure quando mi chinavo a prendere l’acqua direttamente dai fossi, come un qualsiasi animale della foresta. La mia mente si perde a ricordare quella fredda acqua che raccoglievo in bottiglia e che mi gelava le mani. Quell’acqua che scaldata faceva da the di prima mattina e che alla sera si trasformava come per magia in zuppa. Quell’acqua che a volte cadeva dal cielo e che mi faceva gelare, che correva sui miei capelli lavandoli dopo giorni di sudore, quell’acqua che porta i salmoni a deporre le uova risalendo i fiordi, la stessa acqua che circonda Tromso, la stessa acqua che si vede da Capo Nord guardando in verso l’Artico, la stessa acqua che continua a cadere sulla mia bici e ad entrarmi nelle scarpe.
L’auto dietro suona.
Un altro flash del mio viaggio. Me li porto dietro da mesi ed ogni volta mi lasciano solo con la malinconia.