venerdì 1 aprile 2011

Turismo e viaggio: breve riflessione per una prima distinzione



"Vi presento un mio collega nonchè ex compagno di studio durante la triennale che ha molto da dire su quel che riguarda l'avventura. Ama la bicicletta e ama scoprire nuovi territori. Le due parole insieme fanno si che Alberto si addentra spesso in viaggi pieni di emozioni e di un qualcosa di fantastico: natura, villaggi, culture, ambienti sono le sue meravigliose scoperte durante le sue avventure. 
Ecco qui il suo primo articolo nel mio blog sperando che questo non sia altro che il primo di una lunga serie." 

Oggetto: articolo del dott. Alberto Cogo-Geografo 

In questo mio primo articolo di questo blog desidero parlare del mio viaggio a Capo Nord sotto un’ottica geografica. Voglio percorrere quella strada difficile che va a distinguere quello che è il viaggio dal turismo.
Credo che chiunque, al termine di una vacanza (uso volutamente questo termine per indicare un lasso temporale passato lontano dall’abitazione o dal luogo di vita quotidiana) voglia usare la parola viaggio più della parola turismo e, se poi è consentito, condirla con la parola avventura. Il desiderio è tanto vasto ed importante da far sì che ogni proposta vacanziera-turistica trova spazio per la parola viaggio (pure per la parola avventura!).
Quindi, che differenza c’è tra il viaggio che ho fatto a Capo Nord e il viaggio precedente a Portofino?
Serve una premessa. Capo Nord è un viaggio di 10000 km in bicicletta ed in solitaria durato un centinaio di giorni. Portofino è stata una vacanza di 5 giorni al mare.

Già nel descriverli uso il termine viaggio solo per uno dei due casi, ma questo è il mio istinto.
È chiaro che stiamo parlando di cose diametralmente opposte, ma se facciamo attenzione il confine fra viaggio e turismo è sottile e di difficile distinzione. Sì, perché non basta una bicicletta o un mezzo di fortuna per far sì che quello spostamento si possa definire viaggio. E non serve nemmeno la barba lunga o la fatica; non servono posti epici per connotare un viaggio.
Molti viaggi in posti avventurosi sono mero turismo.
Ma trovo opportuno fare un distinguo tra “viaggiare” e ”viaggio”. Viaggiare è il verbo, indica uno spostamento e questo atto può rientrare nella categoria viaggio o turismo. Approfondisco: un turista viaggia ma non è un viaggiatore nel termine più “romantico” che esso racchiude. Il moto, lo spostamento sulla superficie terrestre rientra nel verbo viaggiare, ma i modi di questo viaggiare definiscono se colui che si sposta è un viaggiatore oppure un turista.
Nella ricerca della differenza fra viaggio e turismo ci si accorge di rientrare già nel verbo viaggiare e che è necessario cercare qualcosa che va oltre la fisicità. Questo proprio perché l’atto fisico di spostarsi sulla superficie terrestre non permette, nonostante infiniti distinguo possibili, di dare paletti fissi su ciò che è viaggio e ciò che è turismo.
Ci si trova davanti ad una tavola imbandita di infiniti dolciumi dati da infinite combinazioni di creme e cioccolate e a dover definire quelli gustosi in base agli ingredienti. Impossibile.
È necessario cambiare radicalmente il nostro punto di vista.
Fortunatamente il libro di Boyd “Heritage e turismo” pone una problematica simile. Esso si affida ad un esempio decisamente azzeccato e che inizia distinguendo il Turismo Religioso dal Pellegrinaggio.
Il turista religioso lo si può identificare come un signore Cristiano, occidentale, che visita i monasteri buddisti con una curiosità ed uno stimolo quasi scientifico, di conoscenza. (Vale anche per il cinese che visita San Pietro!)
Il Pellegrino invece riveste una figura completamente diversa. Potrebbe trattarsi di una persona che ignora completamente l’arte delle chiese spagnole, che ignora la presenza di Gaudì o di Picasso, ma che percorre il Cammino di Santiago volto solamente a soddisfare la sua ricerca di spiritualità.
Ecco il punto di vista diverso, ecco la sottile ma sostanziale differenza fra turismo e viaggio. Il viaggio porta con sé non solo lo spostamento fisico, non solo la fatica o la comodità, ma anche uno spostamento dell’anima di chi lo compie. Chi fa turismo generalmente accresce la sua cultura, il suo senso di benessere, il suo relax, ma il suo peregrinare non va a soddisfare una necessità primordiale, radicata profondamente dentro la sua anima.
Il viaggiatore è in ritardo, è un ritardatario. La sua anima è già decine di chilometri più avanti, ha già iniziato a camminare in quella direzione da molto tempo. Il viaggiatore la segue. Quando parte per un viaggio non sa se la direzione che prenderà sarà quella della sua anima. Se così non fosse dovrà accettare di essere catalogato come turista, come il più comune dei turisti.
Ecco che, a definire ciò che è viaggio, può intervenire solamente chi lo ha vissuto. Non c’è stupore se due ragazzi con lo zaino in spalla e con tenda e sacco a pelo stanno facendo turismo e se un signore distinto in aereo stia facendo un viaggio.
Guardando brevemente alle mie esperienze, so riconoscere a colpo d’occhio quelle che sono state turismo e quelle che sono state viaggio. Ho fatto un viaggio in Irlanda in aereo e autobus ed ho fatto il turista in Spagna per un mese in bicicletta.
Capo Nord? Lo saprò solo fra qualche mese o anno. Però, in tutta sincerità, ogni tanto, aspettando che il semaforo diventi verde, fermo con la mia auto, guardo le cime degli alberi che si muovono. Cerco di cogliere quanto vento potrò incontrare appena fuori dalla città, cerco di cogliere se quel vento porta pioggia o bel tempo, di capire se quel vento mi spingerà o mi verrà contro. Strofino la mano contro la barba pungente, mi sembra di sentirla folta come quando attraversavo la Norvegia, come nelle giornate con la neve oppure quando mi chinavo a prendere l’acqua direttamente dai fossi, come un qualsiasi animale della foresta. La mia mente si perde a ricordare quella fredda acqua che raccoglievo in bottiglia e che mi gelava le mani. Quell’acqua che scaldata faceva da the di prima mattina e che alla sera si trasformava come per magia in zuppa. Quell’acqua che a volte cadeva dal cielo e che mi faceva gelare, che correva sui miei capelli lavandoli dopo giorni di sudore, quell’acqua che porta i salmoni a deporre le uova risalendo i fiordi, la stessa acqua che circonda Tromso, la stessa acqua che si vede da Capo Nord guardando in verso l’Artico, la stessa acqua che continua a cadere sulla mia bici e ad entrarmi nelle scarpe.
L’auto dietro suona.
Un altro flash del mio viaggio. Me li porto dietro da mesi ed ogni volta mi lasciano solo con la malinconia.

1 commento:

  1. Mi sembra proprio un bel viaggio, in entrambe i sensi... a contatto con la natura più ribelle e ostile. Credo che abbia dato un buon insegnamento al dott. Alberto. Anche io ho avuto modo di stare in relazione con la natura non in situazioni simili ma semplicemente durante le mie campagne di rilevamento geologico in Appennino settentrionale. Fortunatamente alcune volte ho sentito il brivido dell'emozione che mi saliva dalla schiena quando un cerbiatto impaurito dalla mia presenza balzava allontanandosi, oppure in altre situazioni la mia paura nel sentire il grugnito di un cinghiale subito fuori dalla tenda in cui dormivo. Credo che queste esperienze siano veramente indimenticabili, non solo per i bei posti, ma sopratutto per la relazione che si crea tra l'Uomo e la Natura che ci circonda.

    Buon Viaggio...

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